Quant'è vero Dio. Perché non possiamo fare a meno della religione

santo (15/04/2019) - Voto: 5/5
consigliato
Loris (05/11/2018) - Voto: 5/5
La lettura del saggio di Givone richiede un certo grado di attenzione, ma ricompensa lo sforzo. Mi risulta difficile offrirne un compendio in poche righe. I rimandi filosofici vanno da Kant e Hegel ad Habermas; un ruolo chiave è giocato anche da un romanziere, Dostoevskij, nella cui opera ritornano le domande chiave sul senso della vita e la natura del male. Le religioni prese in considerazione sono l’ebraismo e il cristianesimo, divise dalla Legge e dall’Amore. Semplificando, Givone riconosce un senso del sacro che nonostante le apparenze non si è dissolto e anzi è alla base dell’atto fondante di ogni cosa. Il sacro permette di distinguere ciò che è bene da ciò che è male, per certi versi precede (è) la voce di Dio, lo guida nel momento della scelta, la stessa cui è chiamato l’uomo. Per Givone il male non è un semplice accidente, un ostacolo da superare nell’evoluzione lineare verso il bene. Esiste e resta una potenzialità sempre presente, evocato dalla stessa libertà che chiama Dio e l’uomo a scegliere. Nella lettura proposta, Dio non offre una giustificazione al male, lo interiorizza, arrivando all’esperienza limite della negazione di Se’ nella morte del Figlio. Il tempo intermedio prima della rivelazione dell’Apocalisse è quello della mistificazione, dell’etica utilitaristica e della ragione che si pone come principio autosufficiente. L’uomo con l’ausilio della tecnica può violare il sacro, ma paradossalmente proprio in questo modo può ritrovarlo. Oppure arrendersi alla vittoria del nulla.