La famiglia Karnowski

Pandimiglio Francesca (05/05/2021) - Voto: 3/5
Buon libro, ma non coinvolgente. Scritto con un Linguaggio immediato e asciutto senza troppe suggestioni. Una storia generazionale della famiglia ebraica - polacca Karnowski con le vicende di David il padre, Georg il figlio, Jegor il nipote. Un finale inaspettato, non travolgente. La lettura scorre anche se a tratti rallenta notevolmente !
Stefania (27/02/2021) - Voto: 5/5
Scritto nel 1943 ma pubblicato per la prima volta in Italia solo nel 2013. Saga familiare di una famiglia di ebrei polacchi, che dalla Polonia si trasferisce prima in Germania e poi negli Stati Uniti. Il romanzo si snoda attraverso tre generazioni, così come è suddiviso il libro: David il capostipite, Georg e infine Jegor. Non anticipo altro per non spoilerare. Lo stile di scrittura è essenziale e pulito, la trama avvincente. Le descrizioni se pur essenziali mi hanno fatto sentire con loro, dal villaggio (shtetl) in Polonia con le loro usanze ebraiche, alla colta Berlino dove si percepisce l'antisemitismo che si insinua sempre di più, infine a New York con il suo continuo fermento. Da leggere sicuramente.
Koinedialektos (16/05/2020) - Voto: 5/5
Israel Joshua Singer, il maggiore dei fratelli, tesse le trame della famiglia Karnowski attraverso tre generazioni in lotta anche tra loro, e quindi tre epoche, in cui i 3 protagonisti, rispettivamente il brillante studente di Torah e Talmud, il pio professore e il figliol prodigo, vivono la migrazione spontanea dalle shtetlach alla grande città, la Berlino mal vista dagli ortodossi, e infine un’altra migrazione, meno spontanea ma necessaria, dalla capitale del Terzo Reich a New York, ripartendo ancora una volta da zero, in un ambiente sempre ostile ma dove almeno c’è vita. La ricerca dell’emancipazione, la necessità dell’assimilazione, il perpetrarsi dell’Ebreo Errante, la collegialità e il poter contare su una comunità perseguitata ma coesa fanno la forza narrativa di questo splendido romanzo corale, troppo tardi pubblicato in italiano, grazie ai tipi di Adelphi. Ancora una volta il treno è costituito da una saga familiare, una piccola famiglia retta da salde tradizioni, che solo l’ultimo protagonista, stanco di millenni di angherie e superstizioni, cerca in ogni modo di tradire, di abbandonare, di cedere alla più completa assimilazione. Sarà la pietas a ricondurlo alla ragione, la robustezza dei valori fondanti della propria cultura, a richiamarlo via dai falsi idoli cui indulgeva. L’umanità dei personaggi, la realtà senza tempo e quindi la grande attualità dei temi trattati fanno di questa piccola saga familiare una favola che rimane impressa nella memoria del lettore, che al termine del libro proverà senz’altro una grande nostalgia, un desiderio di continuazione, che purtroppo la prematura scomparsa dell’Autore ha precluso per sempre. Un romanzo epocale, giunto nelle nostre librerie molto tardivamente, e che non può mancare non solo a chi ama la letteratura dei fratelli Singer. Un’opera colta e venata di grandi tristezze, ma splendida nella speranza e nella rinascita, come l’araba fenice. Da leggere assolutamente. Anzi da divorare dalla prima all’ultima pagina.
taty (18/07/2018) - Voto: 4/5
bel libro, fatica a partire ma poi coinvolge il lettore. Peccato per il finale che ho trovato un po' affrettato e per i personaggi che potevano essere delineati meglio ed approfondite.
MD (19/04/2018) - Voto: 5/5
Guardando in faccia la realtà quotidiana con il suo ritmo e le sue cadenze – vorrei premettere –, oggi la parola ‘velocità’, che si traduce in un vivere freneticamente, e ciò che ne deriva: ansia, disattenzione cui si somma una certa ebrezza, definisce una droga sovranamente efficace sul sistema nervoso, assumendo una forza di legge. Quando poi in questa parabola qualcosa si spezza, inaugurando un periodo di tempo stagnante con i suoi dedali di noia, raccogliersi e riflettere diventa il bisogno più urgente, opponendosi all’abitudine di sfuggire ogni meditazione e contemplazione che riconduca l’uomo a chiedersi le ragioni del proprio destino. Per uscire da un momento di disagio personale e di dubbio, all’inizio del 2014, mi sono dedicato alla lettura de “La famiglia Karnowski” di I.J. Singer. Poche pagine al giorno, come un farmaco; permettendo alla realtà del romanzo di diventare doviziosamente un sostegno; coinvolgendomi un po’ come se fosse la mia stessa esistenza e il suo segreto. Per me, la visione del mondo di Singer, la sua maniera di fare ordine in sé per raccontarsi, sono state una panacea, entrando nel mio essere come una gran folata di vento. E il finale drammatico, una chiarificazione liberatoria. La vita del giovane Karnowski, grazie alla maestria di Singer, è una di quelle immagini che rimangono attaccate come un profumo, e penetrano indelebilmente nel campo della memoria involontaria proustiana. Resilienza talismano, insomma.