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Io non mi chiamo Miriam
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sirlapor
(14/05/2020) -
Voto: 4/5
Lettura a dir poco straziante, ma necessaria. Un romanzo che racconta la storia di un'umanità negata, con violenza e delicatezza allo stesso tempo. Difficile da mandare giù, ma è uno di quei libri che ti rimane dentro. Iperborea, poi, è una casa editrice da seguire assolutamente, dal momento che il suo catalogo vanta dei veri e propri capolavori.
Valentina Sanzi
(14/05/2020) -
Voto: 5/5
È una narrazione particolarmente intimistica, delicata, quasi timorosa di rivelare subito al lettore l’angoscia e la tensione che la sua protagonista ha vissuto per anni, quella che avvolge le pagine dell’opera di Majgull Axelsson, uno spaccato veritiero seppur romanzato di una storia il cui unico nutrimento era, ed è tutt’ora, una crudeltà senza eguali. Vittima di una ferocia imprevedibile, attraverso gli occhi, i ricordi e le parole di Miriam quei moti dell’animo umano si trasformano in raccapriccianti immagini di dolore, morte e soprusi, intervallate solo per pochi attimi da uno scintillio, reale a volte, ma per lo più illusorio, di una speranza di salvezza. In un continuo alternare passato e presente, Io non mi chiamo Miriam ripercorre con estrema lucidità una delle più grandi follie mai messe in atto, ricordandoci che non solo ebrei, ma anche zingari, testimoni di Geova, omosessuali e dissidenti politici vennero perseguitati ed infine uccisi dall’idea, malsana, che tutti dovessero appartenere all’unica razza degna di esistere, quella ariana. Particolarmente coinvolgente dal punto di vista emotivo, il romanzo mostra con sincera crudezza tutto ciò che qualcuno, nel tempo, ha avuto il coraggio di negare, rendendo impossibile al lettore rimanere indifferente anche alla più tenue delle emozioni. Così, un’opprimente sensazione di disagio, vergogna, inadeguatezza ed afflizione riemerge tra le sue pagine, alimentata dal’audacia di Majgull Axelsson di raccontare la storia attraverso l’innocenza di una giovane ragazza, poco più che bambina, che ha dovuto assistere, inerme, alla distruzione del suo piccolo mondo. Ma non solo: nel suo ricordo e nella sua denuncia, l’autrice si sofferma anche sul nostro presente, sottolineando come spesso le radici dell’antisemitismo e del razzismo nella sua concezione globale siano molto più solide di quanto ci si potrebbe aspettare. Majgull Axelsson rimarca la necessità di non fermarsi e non smettere di lottare, mai, neanche adesso.
giulia
(13/05/2020) -
Voto: 3/5
Sebbene non sia totalmente convinta di come questo libro sia stato scritto (in particolare non ho trovato la resa psicologica della protagonista del tutto soddisfacente) sono contenta del fatto che sia stato creato e pubblicato. L'autrice ha fatto moltissima ricerca sull'argomento prescelto, argomento purtroppo troppo spesso ignorato e invece molto importante, e questo va molto apprezzato. Un libro che fa riflettere, informa su un lato della storia ancora poco studiato, ma soprattutto collega questa stessa storia col nostro presente e le ingiustizie e pregiudizi che ancora fanno parte di noi.
Ula
(13/05/2020) -
Voto: 4/5
Uno dei pochissimi romanzi sull'olocausto. Preciso nelle parti storiche, sconvolgente nel parlare della vita nei lager, ma specialmente molto esaustivo sul perchè il non voler ricordare era l'unico modo per sopravvivere; è questo il grande senso del libro, non tanto perchè Miriam nasconde di essere Rom, ma perchè non si può ricordare l'inferno e rimanere vivi. Quasi nessuno di chi è tornato dal lager o semplicemente dalla guerra, ne ha parlato, se non per sommi capi.
Sara
(13/05/2020) -
Voto: 4/5
Un romanzo molto intenso sull'olocausto e sulla tematica della deportazione degli zingari, che non viene affrontata spesso in libri di questo tipo. Ottima la narrazione, davvero scorrevole e lineare nonostante i salti temporali tra presente e passato. L'autrice si conferma un'abile narratrice!
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