La lettera di Gertrud

lindalettrice (21/10/2021) - Voto: 4/5
Libro veramente molto toccante e commuovente fin dalle prime pagine. Non avevo mai letto libri che parlassero dell’argomento ebraismo per cui ho letto questo libro con molto piacere e curiosità. La storia di Martin è complessa e la sua vita cambia radicalmente quando scopre che la madre è ebrea. Ma è troppo tardi per farsi delle domande perché ciò accade proprio quando la madre è morta. Martin affronta un conflitto interiore senza pari. La sua vita viene sconvolta totalmente da questa scoperta. Ho dato 4 stelle perché in alcuni punti il libro è stato ripetitivo e pesante, ma è indubbiamente un gran bel libro.
Fulvio Veloci (14/05/2020) - Voto: 4/5
Il romanzo tratta alcuni temi importanti: l'identità, la cultura di appartenenza, la libertà di scelta, i rapporti umani. Martin Brenner, un famoso scienziato genetista vive una vita serena con la sua famiglia. Alla morte della madre, che ha cresciuto il figlio da sola, scopre un grande segreto attraverso una lettera custodita da un Rabbino. La madre è ebrea, ma non gliel'ha mai rivelato per proteggere il figlio da tutto ciò che lei era stata costretta a subire. Il protagonista inizia una ricerca culturale che sfocia nel grande dilemma di Martin: "Chi sono?". Un testo complesso, a tratti lento e ripetitivo, comunque da leggere perché pone ad ogni lettore una profonda riflessione sulla propria identità
Agata (27/07/2019) - Voto: 3/5
Una storia che fa riflettere e molto, come tutte le storie sull'antisemitismo. Lo stile della narrazione purtroppo è un po' scarso: Larsson è stato troppo prolisso e ripetitivo a tratti, si è dilungato troppo. A tratti invece manca di spessore. Insomma: poteva essere più conciso, soprattutto nella parte scientifica e nel finale senza di nuovo ripetersi quando, come lettori, si vorrebbe finalmente sapere che fine abbia fatto la vita del povero Martin. Per la storia e le riflessioni che ne seguono: 5 stelle. Per lo stile: anche meno di una stella.
alfonso campagna (12/06/2019) - Voto: 1/5
Mi ha molto deluso questo 'romanzo'. Assurda la trama: come si può vivere cinquant'anni con una sconosciuta (niente niente è la madre del protagonista)? Identificarla dopo la dipartita e ritrovarsi con una nuova identità? Mi sembra un libro scritto per gioco da un genetista fanatico. Inoltre la famiglia del professore sembra finta (Cristina, la moglie, Sara la figlia sembrano figurine Liebig). Non c'è accidente, non c'è nessun piccolo tanfo di vita vissuta Insieme. Il lavoro stesso del professore è banalizzato. E' tutto artificioso in questo tentativo letterario malriuscito. Avvincente il dilemma genetista ma è già stato trattato in tutte le salse: da Sant'Agostino a Philip Roth, siamo un terzo di quelli che ci hanno preceduti (dna), un terzo dell'ambiente che ci alleva ed un terzo di esperienza, in quest'ultimo terzo abbiamo capito che più che il talento conta la fortuna. Mi è parso il 'canovaccio' per un film: l'aridità descrittiva, il colloquiato, l'assenza di una città (invisibile) tutt'intorno. E' nobile l'impegno contro l'antisemitismo, triste fiume carsico che riaffiora nella storia europea, ma è stato già trattato con migliori risultati. Primo Levi, Anna Frank... Tutto è stato già detto: chi non ha capito non capirà mai. Lettura inutile.
AdrianaT. (25/05/2019) - Voto: 3/5
L'ho trovato un po' scoordinato e sottotono questa volta il buon vecchio Larsson; troppo diluito, per non dire slavato e assai ripetitivo. Pesante quando parte con le schede tecniche stile Wikipedia, nell'approssimativa miscellanea di trattatelli pseudoscientifici ad azzardato sfondo socio-antropologico, ficcati qua e là, che più che apportare contenuti significativi, creano una certa confusione e discontinuità nella narrazione. Narrazione che già, di per sé, non brilla, anzi, è per lunghi tratti proprio noiosa, non priva di patetismi e scrittura piuttosto mediocre. «So che così questo libro rompe con le convenzioni e diventa un ibrido: parte come un romanzo classico basato sul principio flaubertiano del narratore impersonale e assente e si conclude come una biografia con inserti autobiografici. Ma non posso farci niente.» Ed è proprio questa la sua debolezza. Anche se evidenzia una preoccupante generale dilagante recrudescenza antisemita, ho di gran lunga preferito Larsson quando scriveva di pirati e cabotieri, di barche e di mari attraverso i quali mi faceva piacevolmente e avventurosamente viaggiare, piuttosto che ritrovarlo in questa improbabile veste di saggista che fa acqua da tutte le parti. La storia di Martin e famigliola, sebbene vera, non suscita gran curiosità nonostante tiri in ballo la forte questione dell'identità ebraica. Se proprio proprio, su questa faccenda etnica dell' 'essere se stesso' o del 'chi si vuole o non si vuol essere', ma soprattutto in merito a fede, cultura e identità ebraica con relative complessità e contraddizioni, meglio allora affidarsi a Philip Roth e al suo (per Larsson, in tutti i sensi, inavvicinabile) "La macchia umana" ed eventualmente a Chaim Potok e incidentalmente alla Némirovsky. Esperimento, a mio avviso, parzialmente fallito, al quale solo la Parte terza apporta leggero rimedio sia per la gravità delle questioni poste sia dei fatti accaduti.