Di guerra e di noi

luciano (14/03/2020) - Voto: 5/5
Romanzo storico magistralmente scritto dal Prof. Domini. Riferimenti storici reali e documentati. Impianto narrativo fluente e impreziosito dallo slang bolognese. A mio avviso la trama si sviluppa attraverso il rapporto tra Ricciotti e Leandro Arpinati, la figura più emblematica di un'intera epoca. Alla fine, ciò che resta, è l'eterno dilemma tra l'ideale tradito e la cruda realtà, la verità è dei vincitori, per gli sconfitti nessuna pietà. Complimenti all'autore.
Manu2020 (14/03/2020) - Voto: 5/5
Romanzo in cui fantasia e storia si intrecciano sapientemente. La prosa non eccede , l'autore non vuole strafare ed il risultato è quello di mostrarci un equilibrio quasi perfetto. Sono emiliana e , a tratti, mi è parso di cogliere quella sagace ironia tipica dei nostri "vecc" , unita alla caratteristica capacità affabulatoria dell'oralità quotidiana.
nicoletta (09/03/2020) - Voto: 5/5
Mi é piaciuto moltissimo, scritto bene, scorrevole nonostante l'argomento, che è non sempre facile da trattare.
Erika Vecchietti (09/03/2020) - Voto: 5/5
Romanzo molto interessante, che si inserisce in quel filone "bellico" che in Italia ha dato eccellenti risultati. Molto equilibrato il punto di vista e il giudizio sottotraccia, terreno molto sdrucciolevole ancora dopo quasi ottant'anni. Da bolognese, ho apprezzato molto sia i riferimenti a personaggi "iconici" della nostra Resistenza ("Mimma" in primis), sia le parentesi descrittive sulla città (che mi hanno ricordato i brani sulla Barcellona di Montalbán o la Atene di Markarīs). La scelta del linguaggio, con frequenti inserti dialettali (in corsivo, talvolta con scioglimenti in nota e glossario finale), è mimetica del punto di vista del narratore. Pur essendo ardita la lunghezza di alcuni brani interamente in dialetto, Dòmini non arriva al plurilinguismo (alla Camilleri) o all'impasto linguistico (alla Fenoglio, per restare in tema resistenziale): l'uso del dialetto non è spinto a cercare di sperimentare una nuova lingua, rimane piuttosto una nota di colore e di ambiente, molto credibile comunque anche in questa forma.
Ril (05/03/2020) - Voto: 3/5
A Castenaso, nella campagna bolognese, la vita segue il ritmo dettato dai cicli della natura e dalla coltivazione dei campi. Le stagioni si alternano con ciò che di buono e di sano sanno ancora offrire. Siamo nel 1917 e in tutta Europa imperversa il primo conflitto mondiale. Molti uomini, quelli sani e non troppo vecchi, sono stati richiamati alle armi, per servire la patria e una causa più grande di loro. Molti non torneranno più a casa, lasciando vedove molte moglie e orfani molti figli. Un tenente del Regio Esercito ha appena comunicato alla trentenne Rosa Chiusoli che il suo povero marito, Gaetano, è morto sui monti del Trentino sotto il tiro di un fucile di un cecchino dell’esercito rivale. Le sue spoglie mortali saranno rimpatriate a guerra finita e riceveranno degna sepoltura nel cimitero del paese. Da un giorno all’altro, dunque, i destini di casa sono cambiati per Rosa, la nuova capofamiglia e per i suoi due figlioli, Ricciotti (detto Ciotti) e Candido, il più piccolo. Il mulino è gestito dai Chiusoli da ben tre generazioni e Gaetano, prima di partire, ha dato istruzioni ai suoi numerosi famigliari perché non si perdesse una consolidata e antica tradizione. A partire dalla nonna avrebbero rispettato le sue volontà. Con trepidazione e molta speranza in Dio avrebbero atteso il suo ritorno. Un giorno sarebbe stata pace e l’attività nell’aia e nei campi sarebbe ritornata quella di un tempo. Dalla semina, dalla crescita e dalla raccolta del grano avrebbero ottenuto quelle farine ottime per farne pane e pasta. In un racconto che ha l’accento e le tinte in bianco e nero dei racconti polverosi “alla Don Camillo e Peppone” di Guareschi, Rosa diventerà capofamiglia, Ciotti finirà in collegio a Bologna, il nonno continuerà a raccontare il suo passato impassibile davanti al camino. E Don Paolo continuerà a celebrare messa insieme a chierichetti riottosi, a fare catechismo ai più piccoli e ad accompagnare i morti al cimitero.